“Già gli insetti e altri invertebrati comunicano tra loro e modificano i comportamenti tramite segnali olfattivi, visivi e sonori. Molti mammiferi hanno sviluppato tali capacità sino a giungere ad alti livelli di autocoscienza e alla possibilità di accumulo di nozioni in misura ragguardevole. – scrive Alessio Cenni, che nel suo articolo pubblicato sulla rivista “Arco” spiega come i nostri antenati primati sperimentarono, generazione dopo generazione, questo fenomeno di sviluppo cognitivo, sino al punto di svolta in cui gli elementi culturali acquisiti iniziarono a determinare il futuro della specie. “L’invenzione dell’arco scaturì dalla somma di esperienze diverse riguardo all’uso ormai plurimillenario di giavellotti, dardi e propulsori, ma presumibilmente anche di trappole, attrezzi compositi e forse di semplici strumenti musicali. Adattando le dimensioni e il carico di trazione, l’arco si prestava all’abbattimento di animali grandi e piccoli. Poteva essere impiegato sia nella caccia solitaria di appostamento che in battute collettive. Le più antiche frecce furono munite di cuspidi in selce poco riconoscibili come tali da un arciere moderno, in quanto si trattava di piccole schegge di forma irregolare appena ritoccate o di microliti geometrici, fissate sulla cima dell’asta con resine vegetali. Solo più tardi si diffuse di nuovo la tecnica di scheggiatura bifacciale, che permise di realizzare cuspidi esteticamente pregevoli e simmetriche, dotate di codoli e barbigli. Per ragioni climatiche e ambientali, favorevoli alla conservazione di reperti organici, i più antichi archi o frammenti di archi sono stati ritrovati in Europa settentrionale. Ma le prime raffigurazioni, attribuite al Mesolitico, si trovano nella Spagna orientale e in località sparse del Sahara. L’arte rupestre non si era infatti estinta e fiorì di nuove stagioni, con caratteri differenti rispetto al naturalismo del tardo Paleolitico”. Per saperne di più leggi “L’avventura umana tra natura e cultura” di Alessio Cenni, Arco 6/2023.