LE FARETRE NELL’ARCIERIA GIAPPONESE

In passato la faretra più comune era la Uzubu, chiusa e molto resistente, la cui realizzazione è decisamente complessa. Veniva usata soprattutto durante i viaggi. Poteva contenere molte frecce e ne esistevano infiniti modelli, in particolare in legno laccato o bambù intrecciato (spesso anche quest’ultimo laccato). Le faretre di questo genere, più preziose, venivano impiegate dai samurai di alto rango e la laccatura riproduceva di frequente il Mon (stemma) di famiglia o del clan di appartenenza. Questo modello serviva solo per proteggere le frecce durante gli spostamenti, non erano infatti utilizzate durante le azioni. Si indossano fissate alla schiena e risultano dotate di un piccolo sportello da cui si inseriscono e si estraggono le frecce. Le più preziose e costose potevano essere rivestite di pelle di tigre, di orso o di cinghiale, oppure coperte di raden, piccoli pezzi di madreperla di varie dimensioni e forma, che coprivano l’intera superficie della faretra come un mosaico multicolore, a seconda di come venivano colpite dalla luce. Le più comuni però erano laccate in modo da proteggere le frecce dall’umidità o dal calore, consentendo così di averle sempre perfettamente in ordine e fruibili in ogni momento.

Le Ebira, le più usate
Le faretre più in uso però, soprattutto durante il medioevo, nei lunghi secoli di guerre, erano le Ebira, o Kari-ebira: sono aperte e hanno la forma di una piccola “poltrona”. In corrispondenza di quella che sarebbe la seduta, c’è una griglia composta da listelli di bambù, dove vengono alloggiate le punte delle frecce che, in base al numero e alla forma, seguono uno schema di inserimento ben preciso. Le aste vengono poi legate al sostegno a forma di archetto con una precisa struttura di nodi che, anche in tal caso, dipende dal numero di frecce.


Tratto da “Le faretre nell’arcieria giapponese”, di Carlo Broggi – Arco 2/2022


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